Il Fante

Il Fante scostò le ante. C’era un uomo, legato sul fondo dell’armadio, spiegazzato e ritorto come un sacco della spazzatura mezzo vuoto.

Il Fante rimase a fissarlo, un uomo accartocciato in un armadio, il sangue rappreso attorno alla bocca. Sangue dietro un orecchio, colato da un taglio slabbrato accanto a un sopracciglio. Un occhio pesto, ormai verdastro, l’iride insanguinata. Un lavoro fatto a mano. Da mani pesanti, colpi feroci. Come se quell’uomo, legato, scarno, la camicia stracciata i pantaloni insanguinati, non avesse opposto resistenza. Come fosse rimasto immobile per il terrore, di fronte a quei colpi che lo fracassavano. L’occhio tumefatto si alzò appena inquadrando il Fante, che se ne stava in piedi, appena fuori dall’armadio a mungere i pugni, c’era puzzo amaro dentro quel mobile, forse di deiezioni, o solo adrenalina della paura. L’uomo mosse appena i polsi posati sulle ginocchia, il Fante lo studiò in silenzio. Poi richiuse l’armadio e tornò in cucina.

Vetroghiaccio (Romunzo postumico)