Lettera a Baruk il Mago

Te la sai lunga. Bella fatica, senò non saresti mica il Mago. Mi ricordo sempre quella volta che sono venuto a casa tua, e ti ho detto che mi volevo ammazzare. E te mi hai guardato con quegli occhi schizzenti e ti sei accarezzato la barba, poi hai mugugnato qualcosa e hai messo su una caffettiera, e quando hai versato il caffè nelle tazzine mi hai guardato e hai detto “Ammazzare? E come vorresti fare?” E io sono rimasto lì a guardarti senza sapere cosa dire. E abbiamo bevuto il caffè, e poi mi hai dato dei mandarini. E io stavo lì zitto e mi vergognavo, sbucciavo e mangiavo e te hai iniziato a sorridere. E io ero guarito. Sei un gran Mago, davvero, mi hai curato con caffè e mandarini, un lavoro da non crederci.

Allora ti scrivo per dirti che ci ho pensato, mica ad ammazzarmi, ho pensato a questa mia mania di scrivere, lettere, racconti poesie. Un continuo, come non potessi fare niente altro, come non sapessi fare niente altro. Vengo giù dall’officina del Creativo, che lavoro lì e smontiamo gli spartineve e tutta quella roba lì, entro in casa e delle volte non mi do neanche il tempo di farmi la doccia che mi metto a scrivere, tutte quelle cose in testa, un’ansia di buttarle giù come se mi scappassero tra le pieghe del cervello e rischiassi di non trovarle più. Tutte quelle cose da dire a questo e quello, che poi neanche le spedisco le lettere, le lascio lì, ammucchiate, sul tavolo, poi vado a farmi la doccia.

Secondo me, caro Baruk, è un pezzo che ci penso, scrivere, è l’arte del niente, perché non è mica come tagliare della legna, che poi ti ci scaldi, costruire una casa, che poi ci abiti. Scrivere è come fare niente, solo che in più consumi della gran carta e delle biro. E io, siccome tutto quello che scrivo non fa altro che impilarsi su un tavolo e nessuno mai lo legge, direi che allora sono un perdente anche nell’arte del niente. Un vero artista del niente in assoluto. Scrivere, caro Baruk, è utile come un sesto dito in una mano. Non c’è niente la mondo più inutile dello scrivere. Forse, solo l’avere sei dita in una mano è più inutile.

Le pecore si contano a Maggio (Romanzo)