A corda corta

Lo trovarono morto impiccato. Attaccato al ramo di un vecchio castagno, come uno straccio appeso a un palo. Le braccia lungo i fianchi, i piedi stenchi, la lingua fuori. E fuori anche, a scurire i pantaloni, quello che aveva riempito l’intestino, e la vescica.

Gli uomini rimasero a lungo a contemplare il cadavere, nella luce fiacca della sera, erano tre giorni che lo cercavano.

A terra, posata accanto al grosso tronco muschioso, c’era una borsina, di quelle in plastica sottile che smerciano nei negozi, colma di libri, i manici allungati e stirati al punto da sbiancare la fibra plastica, per il peso che avevano dovuto reggere. Il bagaglio a mano di un uomo precario della vita si sarebbe detto, un sacchetto con dentro tutto ciò che un essere umano messo al mondo per restarci poco, avrebbe potuto portare con se.

Gli uomini scostarono i manici del sacchetto e impilarono i libri uno dopo l’altro, ai piedi dell’albero. Li sfilarono dalla plastica, soppesandoli, scrutando copertine e retro di ogni volume, poi si fissarono a vicenda, scrollarono le teste, passando in rassegna tutti i libri. Si guardavano a ogni passaggio come non ci fosse un nesso plausibile tra l’impiccarsi e il portarsi appresso una sporta di libri. Si consultarono a occhiate, con facce sconnesse, come a chiedersi che funzione avessero i libri in un suicidio. Poi, quando giunsero sul fondo del sacchetto, tirarono fuori il quaderno e la borsa di plastica si afflosciò come un polmone collassato. Un quaderno, un palmo per un palmo, di un verde brillante.

 

(Svarione)