Lettera a Patti Smith

Ero lì che scancheravo con Dj Nibbio, lui mescolava dei dischi, piano, forte, piano, forte, un po’ più piano, un po’ più forte. Tutto un zigozago con leve e manette. Mette sta canzone e poi gira la copertina del disco e c’era una tua foto. Oh, Dj Nibbio non è mica uno stracciaio, fa una trasmissione in radio che si chiama Nebrascra. Non centra niente con lo stato americano. O forse sì, adesso di preciso non lo so. La trasmissione l’ascoltano tutti là di qua. Sono sicuro che Dj Nibbio in America non c’è mai stato. C’è stato Mr Pensilvenia, lo chiamiamo così apposta, dice che faceva l’attore in America, l’attore porno. Ma secondo me più che altro stironzava delle corde per ormeggiare delle barche a un molo. Comunque, ho sentito quella tua canzone, che poi Nibbio mi ha spiegato che è una cover di una canzone dei Nirvana. O viceversa, mi sembra. Io poi non ci capisco niente con ste cover, chi copre chi. Quello lì poi, Kobain, gli avevo già scritto una lettera, per via di quella squilibrata di moglie che c’aveva. ‘Na bella ligera anche quella lì, quasi come quella che mi era toccata a me. Una bezzenga che non ti dico. E’ andata poi peggio a lui che si è ammazzato con una fogonata. Io sono ancora qui, ma me ne è successe, in uno strano aravogliamento, il marito di quella che ti dicevo, l’Inghilterra, ormai te lo posso dire anche il nome che ormai non si svacca mica più niente. Allora il marito dell’Inghilterra, è volato giù dalla finestra della mia cucina. Oh, non sono mica un assassino, anche se la finestra da dove è volato ce l’ho davanti adesso, mentre ti scrivo, e mi guarda come lo fossi, un assassino. Quello lì, il marito dell’Inghilterra, che prima che entrasse in questa casa per ammazzarmi, io a fatica sapevo che era al mondo, voleva ammazzarmi perché aveva scoperto la tresca. Che era poi più lei, l’Inghilterra, che scaldava, perché io, vè, fosse stato per me. E il resto neanche sto qua a spiegartelo.

Ti dicevo della tua foto, sull’album, una foto grande, di un vinile. Dopo aver ascoltato quel tuo pezzo, brava sei anche brava a cantare, la voce un po’ aragaita, ma saranno tutte le sigarette che fumi. Me lo fa anche a me, se sto in giro, al bar, e fumo a contratto, il giorno dopo c’ho un’aragaiia che mai. Oh, Patty, non ci vorrebbe mica uno studio: il giorno prima che devi incidere un pezzo, non vai in giro, non fumi a randello. E in studio, niente aragaiia.

E questa tua foto, sul disco. Mica per dire vè. Ma a parte che hai una faccia che si vede che sono due giorni che non dormi. Gli occhi bassi e viliti che si vede che avevi tanta voglia di fare delle foto da mettere sul disco come di prendere dei calci in culo. Ma poi, dico io, ma come ti sei amanita? Scusa se te lo dico, ma sei stremnata che fai rincrescere. I capelli tutti imbordigati, una giacca nera addosso, tutta storta, stropicciata, roba da mercato. La camicia che sembra quasi strappata, fuori dai pantaloni. Anche io vengo a casa da lavorare che sono concio da fare schifo. Tutto il giorno attorno a dei ferri, degli oli. Ma dopo, a casa, mi lavo e mi metto a posto, soprattutto se devo uscire. Figuriamoci se dovessero farmi delle foto.

Non lo so, già che non sei una bellezza, si vede, adesso non dico mica di agghindarsi come fanno certe donne. Di agghindarsi come una bezzenga, prendere il sole, truccarsi, però un minimo, dai. C’hai na faccia cruda in quella foto lì che sembra te l’hanno cavata fuori con uno scalpello. Voglio mica dire che ti dovevi mettere della roba di marca, cara arabita, come faceva l’Inghilterra, o mezza nuda come quell’altra che andava con Kobain, ci mancherebbe, però, un minimo, dai Patty, anche te.

(Gli Smoledghi -Romanzo-)